... Avevo i calzoni calati sui polpacci, le cosce e le intimità oscenamente nude.
Ero seduto sul divano del salotto di Elisa, conosciuta solo alcune settimane prima in un supermercato, reincontrata oggi e ora seduta sul tappeto di casa sua, di fronte a me, ancora sporca dello sperma che mi aveva bevuto, appagata del lavoro appena terminato.
"Ti dispiace se mi libero dei vestiti Elisa, così non riuscirei nemmeno a muovermi" le dissi...
"E me lo chiedi Marcello? Anzi, che dici se ti seguo anche io?" rispose.
"No tesoro, tu rimani così, come sei per cortesia" replicai.
Sbottonai la camicia, sfilai le scarpe, le calze e finalmente levai anche i pantaloni e i boxer che mi impedivano ogni movimento.
Nudo, nel salotto di questa donna semi sconosciuta, mi alzai e presi Elisa per le mani accompagnandone la sua stessa erezione verso di me.
La strinsi a me, forte e con passione la baciai, a lungo.
Intrecciai le mani nei riccioli della sua chioma e le sussurrai all'orecchio: "Ti dispiace invertiamo i ruoli ora?"
Mi voltai e la spingi dolcemente sul divano, nel posto che fino ad alcuni istanti prima occupavo io.
Era ancora vestita ma ciò nonostante le mie mani esploravano ogni centimetro del suo procace corpo di femmina di mezz'età.
Mi misi cavalcioni su di lei e continuai a baciarla a leccarla a torturarla di attenzioni fino a quando, all'improvviso mi staccai da lei e scendendo ai piedi del divano, accovacciato sul tappeto, sbottonai i pantaloni dell'abito che indossava e invitandola ad aiutarmi con un lesto movimento di bacino li abbassai lasciandoli poco sotto alle ginocchia.
Annusai la sua pelle di femmina, sembrava seta, strofinai il muso, riempendomi le nari del suo odore e tempestandole di baci e di leccate le cosce percorsi le sue gambe fino a risalire.
Arrivai dunque all'intimo, a quelle eccitanti e femminili mutandine di pizzo nero.
Leccai le cosce fino al bordo delle mutandine e poi, dopo averne percorso ripetutamente il contorno poggiai il naso sul suo monte di venere impacchettato dall'intimo.
La guardavo, mi guardava.
Scorgevo nei suoi occhi un misto di desiderio, di voglia ad un senso di pudore e di imbarazzo.
Stavo giocando con lei, riproponendo ogni tappa di ciò che poc'anzi lei aveva fatto a me.
Respirai a pieni polmoni il fragore del suo sesso chiuso nel pizzo nero, leccai mordicchiai la sua natura da sopra il tessuto e poi, infoiato come non mai, perso e inebriato dal suo odore di femmina, abbassai le mutandine e tolsi ogni impedimento.
Finalmente la sua passera mi si mostrata in tutta la sua essenza.
Era glabra, completamente depilata, sfacciatamente pronunciata con grandi labbra gonfie
e piccole labbra che si ergevano come schiumate, penzolanti dal suo pertugio più intimo.
Mi si presentò dinnanzi un fiore, un'orchidea dai grossi e irregolari petali pronunciati e delicati, sottili e frastagliati.
Mi ci tuffai letteralmente e iniziai a respirarla, a leccarla, a succhiarla, a deliziarla di attenzioni di colpi di lingua di sguardi lascivi e affamati e al contempo la guardavo.
E lei guardava me: non aveva distolto un attimo il suo sguardo dal mio trafficare, dal mio maneggiare, dal mio lavorarle quella fica così umida, così fradicia, così affamata di piacere che non sembrava desiderare altro che venire di me.
Mi dedicai totalmente a lei.
Non guardai altro che lei.
Non pensai ad altro che a lei.
La sua passera divenne musa e dea dei miei sensi e la scopai con la lingua, la divorai con la bocca, me ne riempii fino a quando la sentì godere. Strinse la cosce e, contraendo i muscoli inguinali, venne... sul mio volto, dentro alla mia bocca, su di me.
Gridò e si dimenò tirandomi i capelli, aggrappandosi alla mia testa, cingendomi a se tra le sue tornite e muscolose cosce.
Mi fermai, aspettai che si calmasse, riprendendosi dall'orgasmo vissuto e, senza pronunziar parola, le sfilai del tutto i pantaloni, le tolsi le mutandine, poi salii a sbottonarle la camicia, le sganciai il reggiseno e infine la presi da dietro, sollevandola e traslando la sua schiena dallo schienale del divano ai cuscini dello stesso.
Ora eravamo entrambi nudi, il mio cazzo era un bastone nodoso.
Lo guardò poi mi guardò in silenzio.
Rapita dal mio fare.
Io mi posizionai sopra di lei e, in un sol colpo, la pentrai.
Tutto, forte, fino alle palle.
Entrai come un tir spedito in una caverna.
I testicoli sbatterono sulle sue natiche e io mi fermai.
Così, tutto dentro di lei, con il mio cazzo che cresceva ancora dall'eccitazione dentro alla sua capiente, accogliente fradicia fica.
La baciai senza muoverlo da lì.
Sentivo le pareti della sua passera contrarsi attorno al mio cazzo e avvilupparlo.
Scesi a baciarle i seni: erano grossi, probabilmente una quinta, e incredibilmente sodi sfidavano la forza di gravità pur protendendo verso l'esterno del suo bacino. Aveva grandi areole scure e capezzoli turgidi e grossi almeno quanto il tappo di una bottiglia d'acqua. Li presi in bocca e li succhiai forte e tanto come se dovessi mungerli a mia volta, berne il succo...
Continuai e al contempo iniziai un lento ma profondo andirivieni dentro alla sua possente ficona.
Lei per tutta risposta intrecciò le gambe attorno alle mie e, cingendomi con le caviglie sul mio culo, accompagnava le spinte che le davo quasi a volerle accenturare, quasi a volerle rendere più potenti, più profonde.
Riuscii a resistere alla tentazione di sbatterla forte e continuai a scoparla lentamente, infilandoglielo tutto e togliendolo tutto per almeno un quarto d'ora.
Lei, senza vergogna, venne, nonostante i miei fendenti non fossero così incalzanti e mi allagò il pube con il suo orgasmo. Io imperterrito, tuttavia, non accennavo a smettere di montarla e solo dopo averla sentita godere, gridare e venire, iniziai a stantuffarla come bramavo.
Ora sì, la sbattevo con forza e vigore.
I miei fianchi si agitavano sulla sua vita, il mio cazzo rosso e gonfio le riempiva la fica e i nostri sessi, nell'incontrarsi emettevano suoni indicibili, animaleschi.
La cavalcai un'altra decina di minuti e lei venne: questa volta fu un orgasmo lungo, continuo che durò almeno cinque minuti, rendendole il viso color rosso rubino.
La presi di forza, con la verga piantata in lei e la sollevai e la feci adagiare sul tappeto di fronte al divano...
Le alzai le gambe, me le portai sulle spalle e baciandole e leccandole la pianta dei piedi e poi le dita, una ad una, continuai a scoparla, a possederla, a trafiggerla con il mio ariete.
Ero infoiato da morire, mi stava piacendo da morire.
Cambia nuovamente posizione senza smettere di penetrarla e la misi su di un fianco. La scopai così, e poi da prona, la scopai a pecora e poi ancora da accucciata.
Lei sembrava non aver nemmeno più voce per gridare ma godeva, eccome se godeva a giudicare dagli schizzi che di quando in quando secerneva dal quel forno che aveva tra le cosce.
Ovviamente, per forza di cose, per quanto mi impegnassi fui sul punto di venire anche io.
Uscii da lei, si voltò, glielo misi dinnanzi al volto e lei lo posizionò appena dentro alla sua bocca.
Non aveva nemmeno più la forza di succhiarlo.
Me lo segai appena e le riversai un fiume di sborra nella gola.
Bevve tutto, senza riserve, perdendosi solo un paio di rivoli che le caddero dai lati della bocca.
Si lasciò andare, spossata, verosimilmente esausta sul tappeto e io con lei, al suo fianco.
"Che scopata cazzo, Marcello sei una furia mi hai dilaniata" disse con un filo di voce quasi senza rendersene conto.
"Ma non mi dovevi preparare la cena" le risposi ridendo...
Mi guardò, come per dire, "ma sei scemo" e sbottò:" mi sembra che tu non ti possa lamentare: mangiare hai mangiato, bere hai bevuto, il servizio me lo hai fatto completo - e che servizio - se vuoi ti offro il caffè".
"Gradirei ancora il dolce" risposi provocatoriamente...
"Tu sei pazzo" replicò come a cercare di capire se facessi sul serio.
Ovviamente facevo sul serio...
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La scopata V.M. 18 anni
Written By Unknown on Sunday, June 30, 2013 | 12:53 PM
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