Un processo a senso unico, dove sono stati ascoltati quasi solo i testi dell'accusa, e quelli della difesa sono stati decimati e trascurati; una condanna illogica, mal motivata e spesso - anche su punti cruciali - non motivata affatto; una pena ingiusta ed esagerata, che non ha tenuto conto del comportamento e della storia dell'imputato. Questo, per i difensori di Silvio Berlusconi, è il ritratto del processo per i diritti tv, quello che, dopo il via libera della Corte Costituzionale, si avvia verso una sentenza definitiva che potrebbe essere devastante per il Cavaliere. Così diventa cruciale il documento di 262 pagine che i difensori di Berlusconi, lo «storico» Niccolò Ghedini e la new entry Franco Coppi, hanno depositato in Cassazione per chiedere l'annullamento delle condanne milanesi. È l'ultima pallottola che Berlusconi ha in canna per evitare che diventino esecutivi i quattro anni di carcere (ridotti a uno dall'indulto) e soprattutto i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici che lo metterebbero fuori dal Parlamento. Sono quarantasette i motivi che, nella ricostruzione dei legali, dovrebbero portare all'annullamento della condanna. Ma uno svetta su tutti gli altri: quello dove Ghedini e Coppi ricordano che già due volte la Cassazione si è occupata di Berlusconi per le inchieste sulla gestione dei diritti cinematografici, e per due volte lo ha assolto. LE DUE ASSOLUZIONI - Non è vero, scrivono i legali, che i due processi in cui il Cavaliere è stato assolto in riguardavano fatti diversi, con elementi di prova diversi, da quello per i diritti tv. «I fatti posti a fondamento di entrambi i processi sono, per tabulas, identici e cioè il sistema di frode degli anni 80 nell'ambito degli acquisti dei diritti cinematografici». In tutti i processi, Berlusconi era accusato di essere socio occulto del grossista di diritti Frank Agrama. E la sentenza del gup di Milano, confermata dalla Cassazione, «ha statuito che Berlusconi Silvio non ha avuto nessun ruolo “all'interno di un sistema di frode, utilizzato dalla fine degli anni 80” perché “non ha commesso il fatto”». La sentenza del gup di Roma, anch'essa confermata dalla Cassazione, ha valutato una situazione in cui «il meccanismo era assolutamente identico», ha addirittura escluso che ci fosse una sovraffatturazione: non vi era alcuna prova che vi fosse una maggiorazione del prezzo di rivendita, e la sentenza parlava di «solidi ed eloquenti elementi» che dimostravano «lo svolgimento ad opera delle società riconducibili all'Agrama di una effettiva attività di intermediazione». IL RUOLO DI SILVIO La sentenza che lo ha condannato, secondo il ricorso, non spiega in che modo Berlusconi sarebbe intervenuto nella gestione dei diritti. «Non vi è la benché minima prova che Silvio Berlusconi si sia mai ingerito, dopo l'entrata in politica, e in particolare dopo l'ingresso in Borsa della società, sull'amministrazione di Mediaset». La verità, scrivono Ghedini e Coppi, è che «Silvio Berlusconi non ha firmato le denunce dei redditi del 2002 e del 2003; Silvio Berlusconi non aveva alcuna possibilità di intervenire in quelle denunce; Silvio Berlusconi non poteva decidere come operare gli ammortamenti. Erano decisioni assunte da altri». «Non v'è la benché minima prova, né il più labile indizio che, cessate le cariche societarie nel gennaio del 1994 e iniziato l'impegno politico, vi sia stato un qualsiasi contatto tra Silvio Berlusconi e i soggetti de quibus». I TESTIMONI TAGLIATI Tra le accuse che il ricorso muove ai giudici del tribunale e della Corte d'appello, c'è quella di avere chiuso le porte del processo ai testimoni della difesa. Il ricorso parla di «un'istruttoria sostanzialmente “a senso unico”, in quanto costituita principalmente dall'audizione dei testi del pubblico ministero», in cui mentre la lista dei testi a difesa veniva falcidiata «tutti i quarantuno testi indicati in lista dalla pubblica accusa sono stati sentiti disvelando un pressoché completo disinteresse per il contributo probatorio che poteva essere apportato dalla difesa». Ghedini e Coppi affermano che i giudici «hanno continuato a subordinare l'attuazione delle necessità difensive all'esigenza di celerità del processo». Un interrogatorio chiave come quello di Frank Agrama sarebbe stato rifiutato semplicemente «perché l'istanza dell'imputato era priva della firma autenticata». «NON CI FU FRODE» I legali di Berlusconi affermano che tutte le società attraverso le quali passavano i diritti erano reali e non fittizie. «In realtà il corrispettivo indicato nelle fatture era assolutamente “reale”; riproduce effettivamente il prezzo che Mediaset aveva pagato per l'acquisto di quei diritti; le corrispondenti somme erano effettivamente uscite dalle casse di Mediaset ed in alcun modo le erano ritornate né le erano state (in tutto o in parte) restituite». «Al più potrebbe discutersi - data e non concessa la ricostruzione della sentenza di merito - di congruità del valore del costo», ma i costi vi furono, e quindi non vi fu frode fiscale. PENA IMMOTIVATA Priva di motivazioni, e quindi nulla, secondo i legali è anche la sentenza quando rifila a Berlusconi quattro anni di carcere: «La oggettiva gravità del reato, ribadita dalla Corte di Appello, è pacificamente sconfessata dal fatto che l'imputazione riguarda unicamente due annualità per le quali è stata contestata una evasione del tutto minimale. Così pure il corretto comportamento processuale ed il ruolo pubblico rivestito dall'imputato per sì lungo tempo come personaggio politico di spiccata importanza non ha trovato punto valutazione nel giudizio della Corte di merito». E l'interdizione dai pubblici uffici, concludono Ghedini e Coppi, non poteva superare i tre anni. |
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La Cassazione già: 'Silvio non ha commesso il reato'
Written By Unknown on Monday, June 24, 2013 | 1:55 AM
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