Arturo Diaconale
A parti invertite ci troveremmo in una situazione da primavera araba. Con le piazze piene di folla imbufalita contro il tentativo di uccidere la democrazia del paese decapitando per via giudiziaria il leader del maggior partito d'opposizione. E con le forze dell'ordine impegnate a contenere l'inevitabile coda di guerriglia urbana che seguirebbe la concentrazione di grandi masse di manifestanti indignati in tutte le principali piazze italiana. Per fortuna, però, non ci troviamo a parti invertite. Il leader che rischia la decapitazione per via giudiziaria non è il segretario del Pd ma è il Presidente del Pdl, Silvio Berlusconi. E quest'ultim, benché provato ed arrabbiato al massimo livello per l'offensiva finale della ventennale persecuzione giudiziaria ai suoi danni, non aizza le folle alla protesta e non minaccia alcuna estate italiana contro l'aberrante tentativo dei suoi avversari di eliminarlo (e con lui eliminare l'opposizione) con un sistema totalmente ispirato ai processi staliniani degli anni '30.
Chi rileva che la linea di responsabilità adottata dal Cavaliere nasca dalla considerazione che in caso di caduta del governo Letta quello che lo sostituirebbe, formato da Pd, Sel e grillini dissidenti, potrebbe fare anche peggio, ha sicuramente ragione. Ma solo in parte. Perché è vero che Berlusconi non ha affatto perso la lucidità e sa bene che in certe condizioni la riduzione del danno è una strada obbligata. Ma è altrettanto vero che trasformare l'atto di responsabilità del Cavaliere in un semplice calcolo di costi e benefici non consente di capire il valore effettivo e politico della rinuncia allo scontro ed alla rottura di Silvio Berlusconi. Per i media ed i politici della sinistra la responsabilità del leader del Pdl è un atto semplicemente dovuto. Per la stragrande maggioranza del paese, quella che non guarda con gli occhiali dell'ideologica e di una pretesa superiorità antropologica della sinistra, è un sacrificio gigantesco che assolve tutti i peccati reali o presunti del passato di Berlusconi e lo trasforma in una sorta di Padre della Patria verso cui anche il vecchio avversario non può non avere riconoscenza.
Quanto meno per non aver gettato nella instabilità e nel caos un paese che è già afflitto da una crisi di dimensioni bibliche. Non cogliere questo aspetto nella considerazione dell'atto di responsabilità del Cavaliere significa non riuscire a capire il valore e le ricadute politiche della rinuncia allo linea dello sfascio. Se si votasse oggi il Parlamento che verrebbe espresso dal nuovo voto sarebbe completamente diverso da quello presente. Il Pd non avrebbe più la maggioranza alla Camera e risulterebbe ridimensionato al Senato, il Movimento Cinque Stelle scenderebbe di almeno dieci punti rispetto a quella attuale, il centro di Monti e di Casini scomparirebbe quasi del tutto ed il centro destra, a stare almeno ai sondaggi, tornerebbe a governare il paese.
Tutto questo nel momento presente. Ma che succederebbe in autunno, dopo la conclusione della macelleria giudiziaria di Berlusconi e della trasformazione del Cavaliere in martire della democrazia e Padre della Patria per aver sacrificato se stesso allo scopo di evitare lo sconquasso della società nazionale? Immaginare di risolvere il problema espellendo il leader del Pdl dal Parlamento in seguito ad una sentenza della magistratura o a qualche gabola sulla incompatibilità è da beoti. Un leader politico rimane tale anche se non entra a Montecitorio o a Palazzo Madama. Anzi, con l'aureola della vittima, lo diventa sempre di più!
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